SPECIALE STUPOR MUNDI

TORRE VENDICARI

Torre federiciana ubicata all’interno della Riserva Naturale di Vendicari. Lato sud-ovest. Essa si inserisce in un complesso edilizio successivo, relativo all’impianto delle saline e della Tonnara, proprietà del principe Corrado Nicolaci di Villadorata, in uso sino al 1943. Dopo un lunghissimo periodo di abbandono, la torre è attualmente oggetto di un intervento di restauro. Non ci sembra molto appropriato l'impatto visivo tra la Torre Sveva e l'intonaco bianco sui resti murari dello stabilimento per la lavorazione del tonno.

In quel luogo lungo la costa ionica, di particolare suggestione dal punto di vista naturalistico-ambientale, che si chiama Vendicari, è ubicata una torre che nell’aspetto esterno è frutto di interventi strutturali datati al XVI secolo, realizzati in funzione dell’introduzione delle artiglierie: furono realizzati la sopraelevazione e i mensoloni che sporgono dagli angoli ovest e sud che supportavano i ballatoi utilizzati come punti di osservazione. Benchè la più antica documentazione sulla sua esistenza, risalga al duca di Noto, Pietro d’Aragona (1416-1458), è doveroso ricordare che lo studioso Giuseppe Agnello ne attribuisce la costruzione già al periodo svevo (XIII secolo), sulla scorta dei numerosi confronti con le architetture federiciane.La torre è a pianta rettangolare (m 18,15 x m 16,80) con uno spessore murario di m 3,15. Particolarmenteimage compatta appare la compagine muraria che presenta una sola porta di accesso posta sul lato nord-est ed una sola finestra lungo lo stesso lato, rispecchiando una marcata tipologia militare. imageL’esistenza di una scala interna, di cui rimangono parecchi gradini, lascia pensare ad una torre a più piani. La decapitazione dell’elevato e il contesto creatosi successivamente al suo impianto con la realizzazione di fabbricati relativi alla tonnara, hanno notevolmente ridotta la superba imponenza e maestosità della torre che doveva essere particolarmente visibile dal mare.L’interno ha inizio con un piccolo vestibolo, sulla sinistra del quale si innesta la scala di accesso al piano superiore. Il vestibolo presenta nella volta una apertura rettangolare relativa ad un buttatoio comunicante con l’attuale terrazzo, la cui funzione era quella di proteggere l’interno dagli eventuali ospiti sgraditi sui quali si lasciavano cadere pietre giù per la caditoia. L’ambiente interno si compone di due campate che risultano asimmetriche per la diversa misura dei lati lunghi. Nella prima campata fu realizzata una vasca. L’abbandono della torre nel XIX secolo conseguente alla cessazione dei rischi connessi con le azioni piratesche dei secoli precedenti e, quindi, alla perdita della sua funzione di difesa e protezione. Ciò ha inevitabilmente e gravemente peggiorata la condizione della struttura che è attualmente oggetto di un intervento di restauro.

 

CASTELLACCIO di LENTINI

imageA sud del moderno abitato di Lentini, esistono alcuni ruderi identificabili con il castello di Federico II menzionato dai documenti dell’epoca come Castrum Vetus, tramandataci poi come Il Castellaccio. Essi sono visibili sopra un promontorio che si innalza tra le valli del Crocifisso e di San Mauro. L’imperatore Federico II destinò questo sito strategicamente perfetto al controllo di tutto il territorio e del mar Ionio. Sconfortato dalla morte prematura del cognato Alfonso e dal propagarsi di un’ epidemia tra il seguito reale ritemprò il proprio spirito nelle terre di Lentini. Nel 1333 convocò a Lentini il Parlamento siciliano. Ricca di nomi lentinesi si rivela la corte federiciana a cominciare dal famoso Riccardo sino a Jacopo e a Giovanni da Lentini. La costruzione del castello avvenne tra il 1223 e il 1239. Il Castellaccio si inquadra tra i castelli rinnovati da Federico e si imposta, infatti, su una precedente fabbrica di età greca. Con le sue mura possenti la cui altezza veniva accentuata dai profondi fossati e dalle valli naturali, il castello doveva apparire come un vero e proprio nido d’aquila e “dominatore superbo”, come lo denominò Giuseppe Agnello. Le sue rovine furono viste e descritte dall’Amico e dal Fazello. Le strutture murarie sopraterra sono veramente poche: un muraglione, due file di tre piombatoi, ruderi relativi ad una torre, due cisterne. Lungo il lato sud, proprio dove esiste una cortina muraria di epoca greca, si imposta una poderosa struttura in conci di grandi dimensioni allettati con malta, della quale rimangono 15 metri. Essa si configura a mo’ di prua di nave dominando il fossato sottostante, configurandosi come una delle tre torri menzionate dalle fonti. All’ interno dei resti della torre è ancora leggibile un ambiente rettangolare con relativa porta che dava l’accesso ad un ambiente sotterraneo oggi interrato: sulla sua funzione solo indagini mirate potrebbero far luce. Nella parte sud -occidentale attraverso una porta e discendendo una scala composta di 22 gradini, coperta con volta a botte a tutto sesto realizzata con conci di calcarenite di raffinata fattura, si accede attraverso un vestibolo servito da due porte ad un ambiente sotterraneo. L’ipogeo è rettangolare (m. 16,72 x 5,58) con pareti rivestite da un paramento murario con conci di misura più o meno regolare poggianti su banchinamento. Nulla rimane del piano di calpestio medievale. La realizzazione di questo ambiente nel periodo federiciano non pone dubbi, dal momento che i conci presentano ancora numerosi marchi lasciati agli scalpellini per essere remunerati, confrontabili non solo con altri esistenti su un muro sopraterra, ma anche con quelli del Castello di Siracusa. La sala è scompartita in cinque settori da quattro semipilastri a parete oggi alquanto frammentati, ma che ci permettono di leggere le imposte delle ghiere d’arco che decoravano la copertura con volta a botte a sesto acuto. Ogni scomparto della volta presenta due dispositivi di apertura verso l’esterno sulla cui interpretazione restano molti dubbi. Se si tratta di areatori si potrebbe interpretare l’ambiente sotterraneo come magazzino per le granaglie; se si tratta di caditoie la funzione del sotterraneo diventa strategica. Le poche tracce monumentali del Castellaccio di Lentini in una situazione naturalistico-ambientale di straordinaria suggestione, si pongono come uno stimolante puzzle che solo attraverso una seria e scientifica indagine conoscitiva potrà essere ricomposto. Apprendiamo con gioia che, dopo un lungo periodo di totale abbandono, il monumento è stato finalmente reso fruibile al pubblico.

 

CASTELLO SVEVO di AUGUSTA

imageRacconta una leggenda che nel 1229 l’imbarcazione di Federico II di Svevia, colta da un’improvvisa tempesta, trovò rifugio nelle calme acque del porto megarese. Pare che l’imperatore, affascinato dalla bellezza del luogo, abbia subito pensato di fondarvi la città che chiamerà Augusta, da “augustus”, suo appellativo. La città verrà insignita del titolo di “veneranda” e avvantaggiata dalle disposizioni riguardanti la gestione amministrativa dei campi, dei granai, delle saline, dei mulini e del porto e nella sua economia rientreranno il caricatore di Agnone e i fertilissimi possedimenti agrari sfruttati per impiantare la cannamela. Se le indagini archeologiche al momento ben poco hanno rivelato dell’impianto svevo di Augusta, meglio informati siamo sulla storia dell’edificazione del superbo castello che ancora domina incontrastato la città. Il Castello Svevo ha pianta quadrata con uno spessore murario di m. 2,60 e con fodero di conci in pietra arenaria giuggiulena. Il prospetto principale, nonostante le alterazioni già del periodo spagnolo e le superfetazioni moderne (carcere), colpisce immediatamente per la presenza nella parte centrale del prospetto di una torre imagepoligonale rivestita di conci a bugnato. Dalla porta alla sua sinistra si accede, attraversando un cortile, al portico federiciano. Superando l’impatto sicuramente negativo con la ex struttura carceraria, ci predisponiamo ad attraversare il portico est. La sequenza ininterrotta delle piccole coperture a crociera ci fa immediatamente tornare alla mente il modulo compositivo delle coperture sveve ed entrare magicamente nell’atmosfera del tempo. Attraverso la soglia relativa alla originaria apertura ci ritroviamo negli ambienti attigui al portico. Veniamo qui ammaliati dalle superbe volte a crociera il cui sviluppo e la cui realizzazione tecnica ci riportano a quelli del castello di Siracusa, detto Maniace. La sopravvivenza di alcuni peducci decorati (motivi a zig-zag, a canestro, a foglie di palma, a decorazione vagamente floreale…) fanno pensare all’esistenza di un apparato plastico irrimediabilmente perduto. Nell’attesa di lavori di restauro che permetteranno una lettura completa e chiara del monumento esprimiamo alcune considerazioni. Come nel Castello Maniace, anche in quello di Augusta non esistono ambienti che fanno pensare ad un uso abitativo dal momento che la struttura si svolge praticamente in un’unica grande, lineare, quasi continua camerata (i muri divisori sono tardivi). Resta al momento una congettura quella del secondo piano demolito dagli spagnoli: sopra l’edificio federiciano gravano le superfetazioni dell’ex penitenziario, che non sono state ancora rimosse ed impediscono la ricerca di tracce del letto di posa dell’ipotetico secondo piano. L’unica scala esistente non sembra coeva alla fabbrica federiciana. cast. svevo augusta69 A questo si aggiunga che le torri non sembrano espressamente tali: quella di nord-est, non solo non presenta traccia di scala, ma è coperta da volta a crociera. Le torri mediane proteggerono le cisterne in esse contenute. E se Federico avesse fatto realizzare il castello così come lo vediamo noi oggi? Ad un unico livello, dalla maestosa volumetria? Se confrontiamo le vite parallele dei “castelli” di Siracusa ed Augusta, ci accorgiamo che i simili problemi che essi pongono sono stati affrontati con teorie simili dagli studiosi. E se Federico avesse voluto creare qualcosa di diverso da una struttura militare? La struttura ha sicuramente un involucro poderoso ed elevandosi dallo scoglio per 20 metri doveva apparire maestosa e incutere timore a chi arrivava da terra o dal mare. L’interno ci offre un’immagine che nulla ha di militare: un’unica sequenza di straordinarie volte a crociera precedute da un’ininterrotta serie di crocierine che formano il loggiato! Non si può quindi accogliere in toto la teoria della funzione militare del monumento. Se consideriamo la grossa valenza agraria e di conseguenza commerciale del territorio di Augusta, la funzione della fondazione della città imperiale e del suo castello ci sembra non tanto di tipo militare ma di tipo economico. “L’impressione complessiva è che almeno il piano inferiore del castello di Augusta, il solo sino ad oggi verificabile nella consistenza originaria, fosse allestito come grande deposito, sorta di fondaco fortificato che doveva funzionare in rapporto al movimento merci del porto, uno dei pochi autorizzati ad esportare derrate alimentari fuori del regno, e alle coltivazioni principalmente cerealicole documentate nel circondario” (Antonio Cadei). Con questa lettura del monumento augustano, potrebbe anche darsi che la misteriosa torre poligonale che domina il prospetto sud, fosse un silos per le granaglie protetto in maniera particolare dal paramento murario a bugnato. Tipologicamente simile ai caravanserragli orientali l’edificio si pone come luogo di sosta fondamentale per lo smistamento delle merci: derrate alimentari per il sostentamento delle milizie federiciane sempre in movimento sugli itinerari di guerra. La flotta imperiale avrebbe trovato nel porto della città di Augusta non solo riparo sicuro, ma uno scalo fornitissimo di tutto quello che necessitava per l’approvvigionamento delle navi, compreso quello idrico, assicurato sia dal profondissimo pozzo nell’atrio che dalle cisterne protette dalle torri mediane. In quest’ottica il fondaco diventa struttura militare, composta da sistemi difensivi come le pseudo-torri e il notevole spessore murario, frequentato da soldati e civili, che in esso potevano in ogni angolo riconoscere comunque lo stile dell’ imperatore che ad Augusta più che in ogni altra città si impose come emulazione della romanità.