PANTALICA - IBLONE IL SUO REGNO IL SUO POTERE

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Nel 728 a.C. gli sfortunati emigranti megaresi di Grecia, dopo aver seppellito il loro ecista Lamis, morto improvvisamente per cause a noi sconosciute appena giunti in terra di Trinacria, dopo aver affrontato varie peripezie, finalmente fondano la loro città lungo la costa ionica, Megara appellata Iblea, come ringraziamento a colui il quale glielo aveva concesso: il re siculo Iblone. I Greci colonizzatori rendono omaggio ad un monarca indigeno, il quale entra a pieno titolo nella scena politica internazionale dell’epoca. Se così andarono i fatti, come suggeriscono studiosi della levatura di Francois Villard e Bernabò Brea, essi dimostrano che il potere di questo re andava oltre il suo villaggio, includendo un vastissimo e ricchissimo territorio. Ci sarebbe da chiedersi con quali straordinari mezzi di avvistamento migliaia di anni fa dalla lontanissima Pantalica, sede del potere di Iblone, si poteva monitorare il litorale! Ma addentriamoci in quello sperone roccioso dei monti Iblei, che si eleva dalla valle dove confluiscono i fiumi Calcinara e Anapo, fortezza naturale accessibile in antico da pochi punti e con difficoltà. Superata la Porta di Pantalica accediamo al pianoro sommitale. Lungo le pareti a picco sul fondovalle migliaia di tombe a grotticella artificiale creano un’impressionante suggestione e la image grandiosità del luogo lascia attoniti. Il silenzio e la connotazione mortuaria del sito ci trova d’accordo con la spiegazione del toponimo dalla lingua bizantina, Pantalica - “tutti morti”. Circa cinquemila tombe, alcune delle quali utilizzate anche per deposizioni multiple, forniscono un numero enorme di abitanti per un villaggio preistorico: ma esse appartengono a diversi periodi della storia del sito. Infatti, in termini strettamente archeologici, le sette necropoli di Pantalica, indagate principalmente da Paolo Orsi e Bernabò Brea, si articolano in un arco cronologico che va dall’età del bronzo medio a quella del ferro (XIII - IX secolo a.C.). Nonostante la mancanza di acqua sul pianoro, necessaria per impastare l’argilla, i ceramisti di Pantalica forgiarono vasellame straordinario per forme e tipologia, avvalendosi ad un certo punto, del tornio. Iblone aveva ben pensato di farsi costruire un palazzo sontuoso, chiamando maestranze dal lontanissimo mondo miceneo. I resti dell’”anàktoron” (palazzo dell’ànax-principe, terminologia micenea), restituiscono un edificio con quattro ambienti, un corridoio e una fonderia: la zecca di Stato! Un sito di così eccezionale valenza archeologico-paesaggistica, dove si è oltretutto formato l’ethnos dei Siculi, che si è guadagnato l’inserimento nella lista Unesco, necessita urgentemente dell’attuazione di quel progetto di fruizione e valorizzazione turistica che merita.