Dal TEMPIO di SALOMONE alla CHIESA di SANTA LUCIA ALLA BADIA

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Particolare del portale d’ingresso della Chiesa di Santa Lucia alla Badia in Piazza Duomo. Si notino le colonne salomoniche

Il terremoto disastroso del 9 e dell’11 gennaio 1693, che colpirà il Vallo di Noto, danneggerà notevolmente anche Siracusa, che risorgerà dopo questa Iliade funesta con un rinnovamento architettonico in stile barocco, frutto della volontà sinergica della Chiesa, dello Stato e della nobiltà. Gli architetti che diedero vita a questa “rinascita” crearono un barocco dalle caratteristiche particolari. Una delle prime chiese a rinascere dalle macerie fu quella di Santa Luci alla Badia (1695) in Ortigia. La chiesa, dedicata alla vergine e martire siracusana, connessa con l’attiguo monastero cistercense, era particolarmente legata al miracolo della carestia del 1646 raffigurato nella volta sopra la navata centrale Nel contratto d’opera, l’architetto Luciano Caracciolo fu lasciato libero di cambiare l’orientazione della precedente chiesa (est-ovest) che aveva il prospetto lungo l’attuale via Pompeo Picherali. Egli elevò, quindi, la facciata a nord chiudendo scenograficamente il nodo di piazza Duomo. L’interno venne restaurato e modificato nel 1783. Per la sua peculiarità, il progetto di questa struttura chiesastica ha meritato uno studio approfondito da parte di Salvatore Italia e Ranieri Meloni (in “Annali del Barocco in Sicilia”, 1995) i quali hanno formulato l’ipotesi non solo che esso potrebbe essere già precedente al terremoto, ma che l’architetto potrebbe essersi ispirato al Tempio di Salomone (una delle sette meraviglie del mondo) del quale, come è noto, non esiste alcuna documentazione archeologica. “Il Tempio di Gerusalemme sorgeva in un luogo divenuto, col tempo sacro per tutte e tre le religioni monoteistiche. Per l’ebraismo rappresentava la custodia dell’Arca dell’Alleanza, con le Tavole della Legge; per il cristianesimo, la cerniera tra Vecchio e Nuovo Testamento e uno degli scenari della sfida fatale di quella Pasqua del 33 e.v.; per l’Islam, il sito della Cupola della Roccia, sorta sulla pietra da cui Maometto sarebbe asceso in Paradiso” (Marcello Fagiolo). Il periodo compreso tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700 è proprio quello del dibattito riguardo alla iconografia del Tempio di Gerusalemme in conseguenza del quale furono tentate numerose riproposizioni. Una delle più attendibili è riscontrabile in una pubblicazione di J.B. Villalpando (gesuita) e Jeronimo Prado (edita tra il 1596 e il 1604 a Roma) : nel trattato il Tempio di Salomone fu proposto in tutti i suoi aspetti fornendo piante, prospetti e sezioni, tanto da rappresentare un punto fermo per tutti gli architetti del tempo, non esclusi i grandi Bernini e Borromini. Elementi stilistici, quali le colonne tortili dette appunto salomoniche (simboleggiano variamente la vite, l’albero della vita, le spire del serpente), venivano già impiegati in numerosi edifici chiesastici, ma la nostra chiesa rappresenterebbe il “caso più completo di realizzazione concreta dell’antichissimo e sacro Tempio di Salomone, matrice di perfezione architettonica”. La facciata, realizzata in pietra calcarea, si sviluppa con forte ascensionalità (m 25) mantenendo tuttavia elementi di armonia flità dimostrando una raffinata aruite a pochi anni dal sisma (1695)grafia del Tempio scandita verticalmente da lesene e orizzontalmente dalle cornici e dalla ringhiera metallica del ballatoio (dal quale venivano lanciate le quaglie dalle monache per la festa di Santa Lucia di maggio). Questa strutturazione trova diretto confronto proprio con il prospetto del Tempio di Salomone disegnato nel trattato del Villalpando, sia dal punto di vista stilistico che delle proporzioni. E’ probabile che in origine la chiesa fosse munita di un belvedere con copertura lignea, come si evince dalle tracce di una finestra visibile dalla via delle Vergini e che quindi, l’attuale vela muraria dell’ultimo ordine del prospetto completasse il corpo chiuso del suddetto belvedere. Le due colonne tortili che fiancheggiano il portale d’ingresso e che si distaccano dalla tela muraria sono ispirate anch’esse a quelle del Tempio di Gerusalemme e si discostano stilisticamente da quelle che fiancheggiano il portale d’ingresso della Cattedrale. Al di sopra dei capitelli si imposta il timpano dalla linea interrotta. Lo stemma sopra il portone è composto da tre elementi disposti su una raggiera: una colonna, una spada e una palma che lo identificano come quello della Santa Lucia. Un altro stemma identico (tranne l’assenza della raggiera) venne collocato nell’ultimo ordine del prospetto per essere visibile a chi arrivasse dalla via Lanolina: l’intento scenografico è sorprendente. Forse non casualmente, in uno degli episodi chiave della cristianità, quello dell’albero della vita in cui è protagonista il re Salomone, vi si trovano descritti gli elementi che compongono questo stemma. Anche le dimensioni planivolumetriche corrispondono a quelle del Tempio, come indicato nel testo biblico. La pianta ci riporta anch’ essa alle dimensioni che definivano gli spazi del Tempio: due ambienti rettangolari e uno quadrato (Ulam, Hekhal e Devir) per un totale di m 27,50 lineari, che praticamente corrispondono ai 27.70 della lunghezza della Chiesa di Santa Lucia. All’interno “è il caso di notare che il primo pilastro non è costruito all’inizio della Chiesa, ma a mt 5,50 dal portone. Il ritmo dei pilastri individua quindi due spazi virtualmente divisi fra di loro” che corrispondono al vestibolo e alla sala cultuale del Tempio di Salomone. L’altare della chiesa è costituito da un semplice parallelepipedo collocato nel presbiterio e richiama l’Arca dell’Alleanza collocata al centro della sala, come si legge nella Bibbia. Alla luce dei documenti in nostro possesso non è possibile stabilire se il progetto della Chiesa di Santa Lucia alla Badia sia stato redatto a Siracusa e sia, quindi, nato dall’ambiziosa idea dell’architetto incaricato della ricostruzione dell’edificio di riproporre il Tempio di Salomone. La presenza dei Cavalieri di Malta e dell’ordine dei Gesuiti potrebbe essere indicatrice riguardo all’esistenza nella nostra città di una copia del famoso trattato al quale avrebbe potuto attingere l’artefice della nostra chiesa. Anche il nome di Luciano Caracciolo, al quale si dà paternità dell’opera, nei documenti risulta essere stato il “redattore dei capitoli d’appalto”. Il suo nome non compare più durante l’esecuzione dei lavori (forse morì agli inizi del 1700), mentre è certo che l’apparato decorativo interno non compreso nel progetto originario venne affidato a Luigi Casanova, il quale si attenne agli schemi classici del barocco. La forte componente simbolica della Chiesa di S. Lucia, che dovette sfuggire allo stesso Casanova, è uno degli aspetti meno noti che legano il culto della patrona di Siracusa alla presenza dei Cavalieri Gerosolimitani, i cui edifici acquisirono nel tempo significazioni esoteriche di difficile lettura possibile solo ad un numero ristretto di persone. La valenza simbolica della chiesa può inoltre rimarcare il legame tra Siracusa e Gerusalemme. Alla luce di queste considerazioni, sarebbe auspicabile una catalogazione dei numerosi segni visibili su tante pietre ortigiane – stella di Davide (a Palazzo Montalto), nodo di Salomone (nel ronco I alla Turba), etc.- ed un loro studio sistematico che potrebbe fornirci uno scenario sicuramente complesso e storicamente plausibile relativo alla presenza dei vari ordini religiosi, cavallereschi e anche massonici che dall’Oriente trovarono nella millenaria Siracusa motivo di sosta e proliferazione.